Noi possiamo ritrovare noi stessi e gli altri, quali fummo nei momenti migliori, consegnarci alla storia e non andare perduti, se riusciamo a rivivere, da artisti, nel pensiero, nella memoria, nella pagina scritta, quello che è stato. Ciò che ci salva è l’arte.

M.Proust

Il mondo esiste per diventare libro.

Mallarmé

La poesia consiste nel far entrare il mare in un bicchiere.

Italo Calvino

La filosofia sembra che si occupi solo della verità, ma forse dice solo fantasie, e la letteratura sembra che si occupi solo di fantasie, ma forse dice la verità.

Antonio Tabucchi

Un libro è sempre la descrizione di come uno si immagina il mondo.

Cesare Pavese

La scrittura come bisogno quasi folle di giocare con le parole Perché si scrive? Per quale motivo lo fa chi decide di farlo? Vasta la gamma delle risposte più o meno accettabili: comunicare, confessarsi, curarsi (valore terapeutico e catartico della scrittura), educare, profetizzare, correggere, annunciare, denunciare, accusare, consolare, entusiasmare, sognare, irridere, calunniare, onorare, dimenticare, ricordare, catturare il tempo, vincere la morte, lasciare un testamento, scandalizzare, provocare, sedurre, plagiare, offendere, difendere, dare voce al silenzio dei deboli, svegliare gli oppressi, regalare speranze, ricostruire il mondo, incontrare Dio…oppure soltanto perché ha dentro di sé un bisogno quasi folle di giocare con le parole. Io lo faccio per questo. Prendo le parole, le raccolgo qua e là dalle bocche che incontro, dai libri, dai giornali, dal vocabolario, dai bambini… e le metto insieme, divertendomi a comporre e a scomporre senza sosta una serie di quadri molto diversi l’uno dall’altro. Vi aggiungo tutti i colori che ricordo. Li prendo dal passato: dal primo libro di lettura, da una borsa di cartone per la scuola e da un vecchio astuccio di legno con le matite, che custodisco nella memoria. Vi aggiungo: luce, penombre, chiarori, bagliori, guizzi rapidi di lampi che tagliano nuvole e cielo… Alla fine condisco il tutto con musica: strumenti diversi: oboe, violino, chitarra, l’arpa mai, mi sembra fuori posto, sassofono, tromba… Molto spazio, infine, destino al silenzio, alle pause, agli spazi bianchi, per dare più forza alle cose che mi ritrovo a narrare. Senza sapere perché lo faccio. Ed è proprio per questo che trovo difficile rispondere all’altro interrogativo che per lo più si accompagna al primo: perché leggere? Perché leggere le cose che gli altri scrivono? Occorrerebbe, a questo punto, una nuova elencazione; ci provo: per capire, per apprendere, per terapia o per catarsi, per crescere, per cogliere messaggi, denunzie, annunzi, profezie, offese, ammonimenti… Per impadronirsi magari del senso del mondo e della storia. Mi sconcerta, comunque, l’idea di leggere, senza saperlo, per un motivo diverso da quello per il quale c’è chi si ostina a scrivere. Senza poi contare gli equivoci, le confusioni, le menzogne, i fraintendimenti, i pregiudizi e le trappole in agguato. E poi: i codici, la capacità di decodificare, le infinite interpretazioni, le metafore, gli intenti metaletterari, l’idea che ognuno più o meno ha della letteratura, del che cosa essa sia o non sia, del suo ruolo politico, etico, ludico, profetico, consolatorio… Fino ad ora mai una sola volta sono andato da capo. Mi sono divertito a scrivere di getto quello che mi passava per la mente, senza fermarmi. Ora, finalmente, lo faccio. E mi ritengo soddisfatto della mia totale incapacità di fornire alle varie questioni una sia pur minima risposta sensata. Avverto forte, in questo momento, l’esigenza di rimettermi a scrivere. Che cosa? Perché? E per chi?

Pasquale Matrone

La scrittura come narrazione del mondo e rivoluzione della speranza (un tentativo di risposta alle domande precedenti) Anche se i miei libri vengono letti soprattutto dai ragazzi, confesso che non mi sono mai proposto di scrivere per gli adolescenti né mi sono mai preoccupato di piacere al critico impegnato, magari dilettandomi in virtuosismi o in funambolismi stilistici solo per stupirlo o mettermi al passo coi tempi. Ho scritto per il gusto di farlo, per dare corpo alla mia visione della realtà, per raccontare quest’ultima soprattutto a me stesso, per chiarirmela attraverso la lettura. E ho fatto tutto questo sforzandomi di calarmi nella gente, nei suoi pensieri, nel suo linguaggio. Questa tecnica ha avuto come suo obiettivo quello di abbattere il muro che spesso si pone tra la lingua parlata e la scrittura dell’autore e, quindi, di operare una sorta di mediazione che, se da una parte vede il linguaggio scendere dal suo piedistallo per farsi più agevole e fruibile, dall’altro vede il lettore, attratto da un codice più familiare, impegnarsi nella lettura e accrescere il proprio patrimonio lessicale e di pensiero, grazie anche all’interesse che destano in lui fatti e personaggi presi dalla quotidianità. Ho ridotto al minimo le aggettivazioni e ho usato le ripetizioni solo per particolari scopi: per ironizzare, ad esempio, o per descrivere la follia e la solitudine. Ritengo, infatti, che i vocaboli nudi ed essenziali abbiano più efficacia e siano più stimolanti nei confronti di chi, libero di immaginarsi scene e personaggi, trova spazio adeguato per la sua creatività. Ho usato e sottolineato, per dare maggiore concretezza ai fatti narrati, i luoghi comuni e i modi di dire dei vari ambienti nei quali, di volta in volta, i protagonisti delle storie si muovevano e agivano. Da anni inseguo il sogno di una totale rivoluzione della scrittura che mi piace identificare, a dirla con Erich Fromm, con una vera e propria rivoluzione della speranza.

Pasquale Matrone

Scrittura, creatività, informatica e navigazione Non è vero che il computer uccide la scrittura e blocca la creatività. Sono convinto, anzi, che possa offrire a entrambe nuovi stimoli e nuove prospettive. Trovo ridicolo chiudersi al nuovo e fingere che il mondo possa fermarsi o rimanere nostalgicamente legato al passato. Scrivo, naturalmente, anche con la penna, amo le stilografiche, ne posseggo una bella collezione, e mi piace ancora vedere scorrere fiumi d’inchiostro sui fogli immacolati: mi dà quasi la sensazione che la scorrevolezza della penna, stilografica o normale, faciliti la nascita dei versi. Ma non posso fare più a meno della tastiera e del monitor. E ringrazio il mio maestro e amico fraterno Pasquale Bonanno, anima poetica, generosa e geniale, che, con semplicità, pazienza e competenza, mi ha introdotto nell’universo dell’informatica e, con lui, ringrazio anche suo figlio Francesco, mio ex allievo, musicista sensibile e brillante studente universitario, che, costruendo un bellissimo sito, ha consentito a me e ai miei libri di navigare attraverso un mare che non conosce confini.

Pasquale Matrone

 
 
 
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