Umberto Vicaretti

Nome: Umberto Vicaretti
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La Terra irraggiungibile

Recensione di Pasquale Matrone

 

È amara, anche se dignitosa e governata dalla giusta  misura, la visione del mondo sottesa a La terra irraggiungibile, questa prima raccolta di versi di Umberto Vicaretti, un intellettuale già noto a livello nazionale per i riconoscimenti assegnati alle sue poesie da giurie prestigiose che ne hanno apprezzato il rigore stilistico e la genuinità del messaggio. Uccelli migratori verso una nuova ammaliatrice Terra Promessa, sempre più lontana e irraggiungibile, le umane creature affrontano il lungo viaggio verso l’incerto orizzonte, ad occidente;  temerari, sfidano il vento, attratti dalle incantate luci delle torri... Inconsapevoli di essere destinati, da una divinità distratta e sorda, a rimanere imprigionati nel loro chiuso labirinto, diseredati anche del sogno.

Nel libro, passato e presente si fondono e interagiscono tra loro in una sorta di gioco che tende ad annullare le distanze e a rendere meno crudele l’attesa. Il tempo, denso di inganni e di fatui arcobaleni, non conosce la pietà: trascina con sé gli uomini, i sogni e le cose, verso il buio invincibile. I ricordi scivolano piano e feroci in una memoria che si ostina a rimettere insieme le tessere di un mosaico noto solo al singolo, alle sue paure, alla sua insostenibile e irrazionale solitudine, alla sua voglia testarda di non abbandonarsi all’ineluttabile resa.

Il Male regna sovrano in un mondo sempre più offeso dalla sopraffazione e dall’ingiustizia. L’elenco delle tragedie deposita montagne di ghiaccio e di orrore nell’anima: i niňos de rua, colpiti dai soldati; la ragazza di Srebrenica, corpo acerbo sottile giunco, uccisa e poi sepolta sotto un palmo di terra; la ferocia usata a Gerico, Guernica, Hiroshima, Nagaski; i fiori, muti testimoni delle stragi di New York, Madrid, Beslan, Russel Square... Il poeta si sente impotente. Nel suo bagaglio, ci sono soltanto parole. E tracce di vita che hanno la forza di lenire, di dare sostegno, linfa vitale: i rosari e la luce degli occhi di sua madre; la rude tenerezza e le braccia grandi di un padre che come piuma lo alzava verso il cielo; i freschi fontanili dell’infanzia; la dolcezza e i giorni senza tempo dell’amore; le corse tra i filari e i pampini arrossati...   

Umberto Vicaretti, come acutamente scrive Vittoriano Esposito nella prefazione, consapevole del dovere morale che incombe sulla coscienza di coloro che godono del privilegio di essere poeti, non si limiterà a “denunziare” le piaghe e gli orrori della Storia. Lo si evince dalle cose che dice. Archiviati i sogni impossibili e le inutili utopie, farà la sua parte, per  rimuovere le macerie e ricostruire. Continuerà a svolgere la funzione di tenace guardiano della parola: che rispettata nella sua sacralità (Heidegger docet), diventa messaggio, progetto, fuoco vivo, medicina rigeneratrice, luce benefica capace di aiutare gli uomini a superare indenni il buio della notte.

(pubblicata su La Nuova Tribuna Letteraria)

 


 





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