Pompei e il Segreto della Porta del Tempo

Indubbiamente un bel libro questo romanzo del poliedrico Pasquale Matrone, che si fa volentieri perdonare l’uso di una formula letteraria abbastanza abusata (l’avventura fantastica che, alla fine lascia tanto nel protagonista quanto nel lettore il dubbio se si sia trattato di effettiva esperienza soprannaturale o, invece, di delirio onirico dovuto alla malattia) e l’apposizione di un lieto fine un poco sentimentale e di maniera. Mende di lievissima entità, comunque, quando messe a confronto di un ro­manzo che si fa gustare davvero con piacere, rivelandosi lettura adatta tanto agli adulti quanto agli adolescenti, conquistando l’attenzione sin dalle prime pagine per mantenerla poi desta fino al termine della vicenda. La quale è in certo modo suddivi­sa in due parti: le prime quaranta pagine, infatti, portano in scena soprattutto il dialo­go e il rapporto tra due protagonisti al tempo stesso vivi ed emblematici, l’anziano nonno Orfeo (colto e saggio) e il giovane nipote Marzio, ribelle e disincantato non per cattiveria d’indole – tutt’altro – ma per la sensazione, così tipica e dolorosa alla sua età, di non essere capiti né amati dalla propria famiglia.

L’incontro, ambientato in un paese nei dintorni di Pompei, prepara il terreno per la seconda parte della storia, un centinaio di pagine che vedono il giovane Marzio (dopo il ritrovamento e la lettura di un misterioso diario forse magico) trasportato ai tempi della Pompei antica, pochi an­ni prima della sua tragica distruzione. Il ragazzo, così, si trova a vivere un’avventura fuori dalla sua epoca – assai bene ambientata e condotta dall’autore – nel corso della quale scoprirà il valore degli affetti, della lealtà e del coraggio, dell’amicizia e dell’a­more, una scoperta che gli sarà utile quando uscirà dallo stato comatoso in cui era ca­duto per ritornare alla sua vita presente.

Un “romanzo di formazione” bello e origi­nale, insomma, nel quale Pasquale Matrone – oltre a narrare una storia godibilissima in se stessa – sembra voler suggerire come non solo nel male, ma anche nel bene la natura umana sia rimasta in fondo la stessa nel corso dei millenni: capace di scavare in se stessa, così come gli archeologi scavano nel terreno e nella pietra, per trarne te­sori che durano eternamente.                                       

 

Stefano Valentini (poeta, saggista, direttore responsabile de La Nuova Tribuna Letteraria)

(La Nuova Tribuna Letteraria, n° 73, 2004)

Valentini Stefano - -

 
 
 
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