Pompei e il Segreto della Porta del Tempo

Un romanzo di fantasia può a prima vista catalogarsi Pompei e il segreto della Porta del Tempo di Pasquale Matrone, non fosse altro che per le brillanti invenzioni, spesso sorprendenti e talora al limite dell’inverosimile, con cui l’autore lo conduce dall’inizio alla fine. Sin dalle prime pagine, tuttavia, ci si accorge che il racconto affonda le sue radici nella nostra concreta realtà di tutti i giorni, sempre rappresentata dal Matrone con particolare evidenza, seppure volutamente celata sotto una patina di atemporalità; il che rende il racconto ancor più affascinante ed attuale.

Il protagonista, Marzio, un sedicenne in crisi per la recente separazione dei genitori, ci viene presentato, nella prima pagina del romanzo, al suo arrivo alla Fattoria di Civita Giuliana, un borgo rurale costruito sulle rovine dell’antica città di Pompei, dove il nonno materno, Orfeo, dopo la morte della moglie, si era ritirato in cerca di un nuovo equilibrio personale. Fra i due, pur se molto diversi per età e cultura (Marzio è un semplice studente, neppure molto appassionato allo studio, mentre Orfeo è un professore di filosofia in pensione, che ancora coltiva la sua antica passione per i libri), immediatamente si instaura un legame di intensa ed affettuosa solidarietà, un vincolo di umana comprensione, giovevole per lo stato psicologico di entrambi.

Tutto ha inizio, dunque, nella Fattoria di Civita Giuliana; in questo luogo che, costruito in una posizione leggermente sopraelevata rispetto alla vecchia Pompei, ne permette un’ampia veduta sugli scavi. L’avvio della storia consiste nel fortuito ritrovamento da parte di Marzio di uno strano “diario”, iniziato nel 1909 da un suo antenato, il quale morirà poco più che ventenne in guerra: si tratta dello zio “Lucio”, il fratello minore del bisnonno, il cui nome torna più volte in questa storia ed un cui quadro viene ancora oggi, quasi con devozione, conservato nello studio di nonno Orfeo (Marzio, al suo arrivo, ne era subito stato colpito).

Avuto tra le mani il diario, il giovane lo legge con grande curiosità ed interesse, ma ne resta particolarmente sorpreso e fortemente impressionato allorché si accorge che, fra le varie annotazioni, vi è anche una “lettera” indirizzata dall’antenato personalmente a lui, nella quale lo invita, anzi meglio lo incita, a valicare “la Porta del Tempo”, al fine di conoscere il “meraviglioso segreto che si nasconde” dall’altra parte.

Un inizio che ci lascia sorpresi e incuriositi non meno di quanto lo sia stato il giovane Marzio al ritrovamento di quella lettera. Anche perché, se avvolto da un velo di fitto mistero ci appare quel diario, che si polverizzerà non appena il protagonista ne avrà terminata la lettura, ancor più misteriosi ci appaiono alcuni oggetti (una “chiave arrugginita”, una “lucerna a forma di barca”, una “piccola mano sinistra di marmo” e una “moneta d’oro” raffigurante l’immagine dell’imperatore Vespasiano) trovati in una cassetta insieme al diario che, al contrario, rimarranno “intatti sul tavolo”, dopo la scomparsa sia della cassetta che del diario. Sul grande valore simbolico di quegli oggetti Lucio si intrattiene a lungo: sono infatti gli “oggetti” di cui si dovrà servire il nipote, come in precedenza se ne era servito lui, Lucio, per intraprendere quello strano viaggio, che lo avrebbe condotto al di là della “Porta del Tempo”.

Questo è l’antefatto. Aprendo con quella “chiave arrugginita” la porta, Marzio infatti si trova nella Pompei del 74 d. C., esattamente cinque anni prima della sua catastrofica scomparsa. Così dunque comincia il viaggio di Marzio e quindi la vera storia su cui si regge il racconto; una storia avvincente e interessante sia per quel senso di suspance che continuamente l’accompagna, sia per quell’affascinante immersione nel mondo dell’antica Roma, di cui il Matrone si rivela profondo conoscitore. Ma soprattutto una storia nella quale i personaggi sono rappresentati nella loro profonda e vera umanità, che rendono quel mondo a noi più vicino ed attuale.

L’antica città di Pompei viene dal Matrone mirabilmente ricostruita nella sua splendida magnificenza: ritroviamo così le sue ville, le sue strade, le sue Porte, le sue botteghe, l’Odeion (il Teatro Piccolo) e tanti altri famosi edifici. Ma in questo misterioso viaggio nella Pompei di quegli anni Marzio ritrova anche la casa di Quinto Poppeo, dove riconosce quegli strani “oggetti” del quadro, a cui Lucio nel suo diario aveva attribuito un valore altamente simbolico.

Questi oggetti, che a tratti ricompaiono nella narrazione, fanno un po’ da filo conduttore all’intera vicenda, unificandola, nonostante il suo sviluppo avvenga su differenti piani temporali. Perché “oggetti” del tutto simili a quelli del quadro, aveva spiegato nonno Orfeo al nipote, saranno ritrovati dal Maiuri durante i suoi scavi nella casa da lui chiamata del Menandro: proprio quella stessa casa, in cui Marzio ora si trova nel suo misterioso viaggio!

I numerosi spaccati di vita poi ci fanno rivivere usi e costumi del tempo e finanche alcune antiche credenze esoteriche di quel lontano mondo. Si vedano in particolare la descrizione del celebre dipinto della Villa dei Misteri e la scena nel Tempio di Iside, da cui intatto trapela il fascino esercitato dai misteri Dionisiaci.

Un altro pregio di questo libro è la vivace rappresentazione che il Matrone fa della vita degli abitanti della Pompei di quell’epoca: uomini e donne che nella città romana trascorsero i loro giorni, inconsapevoli che la loro avventura su questa terra stesse per concludersi. Un elemento di notevole spicco è poi il continuo legarsi della vicenda a situazioni odierne: si veda in proposito come i cantieri, ancora attivi a Pompei dopo 12 anni dal disastroso terremoto del 62 d. C., ricordino le lentissime ricostruzioni dei nostri paesi terremotati e alluvionati di fine 900.

Molti sono inoltre i legami fra i personaggi del mondo romano descritti dal Matrone e quelli che vivono anche oggi nell’odierna società. E’ ad esempio il caso del nuovo amministratore di Villa Juliana, Sepunio, una figura di “arrivista avido che ruba al suo padrone e tratta i servi come bestie”, che molto ci ricorda quella di alcuni nostri “capetti”, convinti che esercitare il potere significhi solo trarne vantaggi personali ed affermare con arroganza la presunta superiorità conferita dall’incarico. Emblematica è anche la figura di Sileno, tipico rappresentante di una classe debole e oppressa, che maggiormente soffre in un mondo in cui regnano egoismo e poco rispetto dei diritti altrui. 

Ma il libro del Matrone non si esaurisce esclusivamente in un atto di denuncia dei vizi della società (di quella dell’antica Pompei come della nostra del XXI secolo), perché molti dei suoi personaggi, sempre dotati di ricca umanità e vivacemente rappresentati, sono costantemente sorretti dalla convinzione che nel corretto comportamento del singolo stia la possibilità della realizzazione di un mondo migliore per tutti; il che è anche convalidato da molteplici passi di scrittori e filosofi dell’antichità dal Matrone citati. Il lieto fine del romanzo, che in nessun modo vogliamo anticipare, è inoltre un’ulteriore conferma di questo messaggio che l’autore sembra volerci comunicare.

Un bel libro, pertanto, Pompei e il segreto della Porta del Tempo, che si dimostra di notevole interesse per i suoi contenuti e compiutamente risolto per la sua forma espressiva, sempre disinvolta e sicura.

Liliana Porro Andriuoli (scrittrice e saggista)

Porro Andriuoli Liliana - -

 
 
 
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