Intervista di Cristina De Lucia


La scrittura: bisogno di giocare con le parole

Definito “l’artigiano delle parole” Pasquale Matrone continua ad accattivare il lettore attraverso una narrazione originale, che riesce ad affascinare più di una generazione. Nelle sue parole la narrazione del mondo e la rivoluzione della speranza. Albatros lo ha raggiunto a Prato dove attualmente vive, senza mai dimenticare, conservandole come gemme preziose, le sue origini sca­fatesi e la sua vita politica e professionale a Pompei:

 

Quale il segreto del successo lette­rario del professore Matrone?

Sono contento che abbia evidenziato ‘professore’, l’insegnamento è sempre stata la mia passione, il contatto con i ragazzi, la possibilità di trasmettergli l’a­more per la cultura e la letteratura ha da sempre stimolato il mio percorso profes­sionale. Nato come maestro elementare ho continuato la mia ricerca culturale con una prima laurea in pedagogia e una seconda in filosofia e lettere moderne che mi ha permesso tanti anni fa di inizia­re a insegnare negli istituti superiori, ma fondamentale per me sono stati gli anni passati alle elementari.

 

Docente in classe o anche nella vita?

Ho sempre cercato di trasferire la mia professionalità dall’aula al sociale e non solo attraverso i miei libri. Da assessore alla cultura del comune di Pompei cercai di promuovere quanto più possibile even­ti culturali destinati ai cittadini, affinché ci potesse essere un equilibrio tra gli even­ti di spettacolo tradizionali, feste di piaz­za, sagre e altro, e quanto il panorama culturale campano e nazionale poteva offrire. Senza dimenticare il sociale e nel concreto fare qualcosa per aiutare gli altri.

 

Perché scrive Pasquale Matrone?

 

Scrivo per poter meglio entrare nel mondo e nelle storie che mi vivono intorno. Il bisogno di narrare ciò che vedo, forse con gli occhi di chi conserva dentro il ‘fanciullino’ di Pascoli, è costan­te. Nel libro Per favore, spegnete quella luce, edi­zioni Cedam, i racconti partono dalla cronaca, si allontanano da essa con un volo fantastico e ritornano nella realtà, ricavando una nuova energia proprio dal­la concretezza della quotidianità, lo scri­vo senza un fine immediato, in questo forse non sono il mestierante della nar­rativa. lo scrivo e basta, per me la scrittu­ra è catarsi e terapia insieme, non riesco a dare voce ai fatti e alle cose se non attraverso la scrittura. Credo, però, che non bisogna mai interrompere la relazio­ne tra il ‘sogno’ che ognuno di noi coltiva dentro e la realtà, in modo da realizzarlo con piccoli passi, accontentandosi anche dei risultati".

L’ hanno definita scrittore per ragaz­zi, perché?

 

I miei libri hanno come protagonisti i giovani, ma non credo che si possano definire romanzi per ragazzi, anche per­ché sono convinto che in narrativa non vi può essere una definizione di categoria, come tendono a fare le case editrici. Leg­gere Pinocchio o Alice nel paese delle meraviglie può essere istruttivo anche per l’adulto. A Rapolano Terme dove ero premiato insieme a Camilleri, mi si chiese di leggere un mio racconto ai ragazzi, ma poi ne rimasero affascinati anche gli adul­ti.

 

Quindi il suo non è un romanzo di formazione?

Io non voglio a tutti i costi insegnare attraverso i miei libri, ma provocare, sti­molare la coscienza del lettore in modo che questi, se vuole, si inizi a guardare dentro e a crescere chiarendo qualcosa a sé stesso.

 

Quando è diventato famoso?

 

È  una storia divertente. Negli anni settanta partecipai alla “Corrida” di Corrado, allora trasmissione radiofonica. Presentavo una mia poesia: Al milite ignoto napoletano, e la recitai così bene, bisogna precisare che facevo parte della filodrammatica di Scafati insieme a Biagio Esposito, che vinsi la puntata. Corrado, dopo aver precisato che non ero attore ma autore a radioascoltatori, mi invitò alla campionissima a Verona, dove la poe­sia ebbe di nuovo un grande successo. Fu allora che mi invitarono a pubblicare un libro di mie poesie, inserendo anche quella vincitrice. Il libro vendette molto e da lì la carriera di scrittore è stata tutta in salita.

 

A Scafati è popolare?

 

Premesso che nessuno è profeta nella propria patria, anche se io non ho mai rinnegato le mie origini e mi presento sempre come Pasquale Matrone nato a Scafati, non so se la biblioteca della citta­dina ha acquistato qualche copia del mio libro, come hanno fatto quelle toscane e del nord Italia. È chiaro che spero che coloro che sento ancora miei concittadi­ni possano trovarmi tra gli scaffali e leg­germi. Uno scrittore senza lettore non è niente; se la sua idea di fondo non si immerge nella realtà dove ognuno si può riconoscere la sua opera è inutile.

 

Cosa ne pensa delle letteratura straniera?

I libri degli autori stranieri sono quelli che troviamo in bella mostra sugli scaffa­li, al contrario gli scrittori italiani devono faticare molto per essere messi nella promozione delle librerie. Pensi che i libri di Roberto Pazzi, grande autore Italiano, tradotto in diciotto lingue, devono esse­re prenotati per averli. Lo stato dovreb­be fare qualcosa di serio per promuove­re e coltivare la cultura, intuendo che se siamo noi a esportare cultura contri­buiamo non poco all’economia italiana…

Lasciamo il simpatico ed effervescente Pasquale Matrone, sperando che continui a darci ottime pubblicazioni e che non dimentichi mai le sue origini geografiche e culturali.

 (Intervista pubblicata su Albatros, n° 27, ottobre 2003)

 
 
 
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