Giacomo Luzzagni

Nome: Giacomo Luzzagni
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Io come te

Ora e tannu

Paese che vai Natale che trovi

Paese che vai Pasqua che trovi

Beviacqua

Cacanido

 

 

L’astuzia dei mecenati, la libertà di scrivere e le ragioni

della Nuova Tribuna Letteraria

di Pasquale Matrone

 

La tribuna è una piattaforma, un palcoscenico, più o meno ampio, grazie al quale l’oratore ha la possibilità di farsi vedere e, quindi, di dare corpo e forma alla sua voce che, altrimenti, finirebbe col passare inosservata, confondendosi tra i rumori  incomprensibili della folla.

Da sempre, questo spazio prezioso viene occupato dai più forti, da chi, dotato di astuzia e di mezzi, è attento a non lasciarsi sottrarre la roccaforte indispensabile a garantirgli il potere mediante il controllo del pensiero e della verità.

La tribuna, dunque, è nelle mani di chi comanda, dei padroni della storia, di chi, saldo nella sua condizione di privilegio, si guarda bene dal concedere la parola a tutti. Il padrone (ovvero i padroni di turno, rossi, neri o variopinti che siano, oggi come ieri), si serve di un manipolo scelto e fedele di cortigiani: li foraggia, li marchia, li premia con regale investitura,  affida loro il compito di proteggere ogni sorta di messaggio, a tutela e a difesa delle sue ragioni. E, secondo copione, vassalli, valvassori e valvassini, novelli guardiani di un verbo bugiardo, laureati honoris causa,  tecnici esperti, creativi e saggi, diventano gli strateghi  a cui spetta vigilare sul presente e sul futuro, nonché, quando proprio non se ne può fare a meno, di fare una terapeutica revisione del passato

La radio, la televisione, il cinema, il teatro, i giornali, i libri … tutto finisce sotto severa tutela. I critici doc, ciascuno con le proprie competenze, dettano: ciò che merita e ciò che no; chi sa scrivere e chi è un imbrattacarte; il cinema buono e quello marcio; il teatro vero e quello falso; la televisione dell’audience e la pataccara; i libri che tirano e quelli destinati al macero; gli autori di razza e quelli bastardi

Nulla di nuovo sotto il sole. La storia si ripete. Mi torna in mente il trattato Del principe e delle lettere, pubblicato da Vittorio Alfieri nel 1786. In esso, l’inquieto e ribelle piemontese denunzia le contraddizioni, le trappole  e le miserie del rapporto che intercorre tra lo scrittore e il principe mecenate. E, con vigore, dichiara: “Il compito delle lettere  è di insegnare dilettando, e di commuovere, coltivare, e bene indirizzare gli umani affetti, lo sviluppare il cuore dell’uomo, l’indurlo al bene, l’inspirargli un bollente amore di gloria verace, il fargli conoscere i suoi sacri diritti…”.

Alfieri sa che il compito delle lettere non coincide quasi mai con i progetti e le aspettative del principe che, all’intellettuale e all’artista a cui concede la tribuna, chiede in cambio di sottomettersi alla sua autorità e di farsi cassa di risonanza dei suoi disegni e della sua visione del mondo.

Proprio perché sa, egli ribadisce: “lo scrittore, eletto all’arte sua da sé stesso, non serve a nessuno altro che al vero; e non solo per la patria sua, ma per gli uomini tutti e presenti e futuri ei lavora… il suo scritto deve essere alto, veridico, libero; non deve mai porre in iscritto cosa che non crede essere vera e retta e che fortissimamente non sente: il libro deve essere la quinta essenza dello scrittore” (il cui compito) “è quello di formare uomini di azione, d’infiammarli d’amore, di vera virtù, e di nobile gara in ben fare; e tanto può lo scrittore libero, ardito, ingegnoso, che la sua penna riesce per sé stessa un’arma assai più possente e terribile e di assai più lungo effetto, che non lo possa mai essere nessuno scettro né brando nelle mani di un principe…” (Uno scrittore non asservito al potere , infatti, può) “con l’opera sua, richiamare a nuova vita il suo popolo.”

Inaugurando, in tal modo, la letteratura-azione, il trattato di Vittorio Alfieri si conclude con l’esortazione a liberare l’Italia dai barbari; la stessa con cui Machiavelli aveva intitolato l’ultimo capitolo del Principe, per mostrar che in diversi modi si può ottenere lo stesso effetto, e cioè con gli scritti di caldi e ferocissimi spiriti.

Ormai sono passati vent’anni da quando, nel dare vita a La Nuova Tribuna Letteraria, Giacomo Luzzagni, galantuomo poeta, e, soprattutto, maestro nel senso più ampio del termine, volle creare uno spazio di libertà, una tribuna non asservita a nessun tiranno e per questo nuova (insolita, estranea ai trucchi e alle mistificazioni), un laboratorio di ricerca e di proposta artistica e letteraria aperta alla voce di quanti, privi di protettori e di occhiuti mecenati, sarebbero stati fatalmente dannati al silenzio frustrante. Grazie alla rivista, accanto ad autori italiani e stranieri già noti, avrebbero trovato uno spazio, sia pure modesto, poeti, saggisti, critici e intellettuali ancora sconosciuti e tuttavia desiderosi di confrontarsi con i temi piccoli e grandi della letteratura.

Con sacrifici economici mai sbandierati in giro e, nel contempo, con serietà e determinazione, Luzzagni  edificò per gli altri la piattaforma a lui stesso tante volte negata, convinto com’era che, con essa, centinaia di autori, capaci, ben motivati e  dotati di un potenziale fecondo, avrebbero potuto giovare con le loro opere e con la loro militanza al processo di svecchiamento, rivitalizzazione, maturazione e di crescita non solo della letteratura ma anche e soprattutto della libertà di pensiero e di parola in una società altrimenti votata a trasformarsi inesorabilmente in gregge belante, ottuso e inconsapevole.

È d’obbligo, a questo punto, una piccola nota. Il capitale necessario a dare dignità e durata alla rivista non ha provenienza sospetta; viene erogato direttamente dallo Stato: coincide, più o meno, con la somma ottenuta come buonuscita da Luzzagni, quando è andato in  pensione. C’è chi se la spende come meglio crede; chi preferisce giocarsela al lotto; chi la nasconde sotto il mattone; chi se la lascia rosicchiare dalle banche; chi la destina, senza saperlo, alla parcella degli avvocati dei suoi eredi litigiosi; chi, carico di peccati, la dona ai preti in cambio  di sconti favolosi sulla durata del Purgatorio; chi la semina nel Campo dei miracoli

Lui, donchisciottesco sognatore, la sua lauta buonuscita elargita dalla munificenza pelosa di uno Stato Acchiappacitrulli, avvezzo a premiare, volpi, gatti e lestofanti, l’ha messa a servizio di un sogno trasformato prima in progetto e poi in fatto vivo, palpitante, concreto…

La Nuova Tribuna Letteraria non ha mai  goduto di sponsorizzazioni pubbliche; né mai ne ha chieste ai privati. Le une e le altre sarebbero costate molto all’ esercizio autonomo del senso critico e all’autonomia di giudizio… Vive di abbonamenti e di quel poco che si riesce a realizzare con Venilia, la casa editrice nata insieme alla rivista. Sopravvive, grazie all’energia donata dai collaboratori (loro stessi abbonati benemeriti, come tanti altri) che, scelti con cura dal fondatore, hanno in comune con lui la stessa follia, la stessa passione, lo stesso desiderio di liberare la letteratura da ogni sorta di catena, la stessa voglia di mettersi al servizio della scrittura e di quanti hanno energia pulita da immettere nel disegno, solo in apparenza delirante e velleitario, mirato a restituire tensione etica e sete di Bellezza alla società e alla Storia.

Nato in Sicilia, giovanissimo Giacomo Luzzagni si è trasferito, come insegnante, nel Veneto, la sua seconda patria, la terra che lo ha accolto, dove sono nati i suoi figli e dove, da poco più di un anno, riposa. Nel nome della casa editrice Venilia, le due terre diventano una (ci sono, in esso, le iniziali di Veneto e le finali di Sicilia). Nella felice fusione c’è il cuore stesso del messaggio di un uomo vero, lungimirante, intelligente, nemico dichiarato e tenace di qualsivoglia barriera geografica, sociale, ideologica… E, soprattutto, custode  fedele, leale e attento del suo laboratorio: sempre rigorosamente vietato  a coloro che per assuefazione, attitudine congenita o scelta si sentono realizzati solo nella loro malinconica  e grigia livrea; e sempre fraternamente aperto alle anime libere: le sole che, con scritti caldi e ferocissimi spiriti, operano per edificare e per liberare l’Italia dai barbari.


Articolo pubblicato sul numero 100 de La Nuova Tribuna Letteraria

Salviamo la “nostra” Tribuna Letteraria

di Pasquale Matrone

 

Attenta alla logica del profitto, la grande editoria, adotta strumenti mediatici sempre più sofisticati per governare un mercato  ormai quasi svuotato di senso critico e di autonomia di giudizio. Fiuta l’aria,  pronta a dare al pubblico il prodotto adatto agli umori del momento. E sceglie: le Barzellette di Totti; gli amori  equilibristi e sgrammaticati, vissuti tre metri sopra il cielo; le confessioni pruriginose di nobildonne restaurate; gli energici colpi di spazzola di adolescenti inquiete; i furori letterari di politici mezzecartucce; le prodezze erotiche di veline, tronisti ed eroici cretini vogliosi di popolare case, isole e stalle dei famosi

Chi si sforza di resistere al gioco perverso e autolesionista di un’industria culturale, ormai abbrutita dal potere e dal danaro, è costretto a muoversi tra ostacoli insormontabili: in bilico perenne tra la voglia donchisciottesca di difendere la libertà e l’esiguità dei mezzi, reperibili senza vendersi l’anima e senza indossare la livrea degradante del servo sciocco.

La Nuova Tribuna Letteraria e la casa editrice Venilia sono nate dalla tenacia e dal coraggio di Giacomo Luzzagni, un intellettuale, per indole e per vocazione, allergico a ogni sorta di catena. La rivista, tenuta in vita dagli abbonati e dagli autori che pubblicano le loro opere con Venilia, ha come obiettivo quello di a dare, al di là e oltre qualsivoglia forma di condizionamento socioeconomico e ideologico, un significativo contributo alla realizzazione di un numero sempre più alto di operatori e fruitori autonomi della letteratura, nonché a creare un contatto vivo e stimolante fra autori del passato, contemporanei già famosi, nuovi talenti, esordienti e, soprattutto,  una platea sempre più variegata e ampia di lettori consapevoli.

Apprezzato per la qualità degli interventi e per l’elegante veste tipografica, nonché presente in molte università e biblioteche della penisola, il giornale, purtroppo, stenta a tirare avanti. Le spese per tenerlo in vita vanno ben oltre le risorse ricavate dagli abbonamenti…

Novello e inguaribile don Chisciotte, Giacomo Luzzagni non demorde, non si lascia intimorire: continua, con la tenacia di sempre, a difendere la sua creatura e a credere nella bontà del progetto da essa veicolato… E, tuttavia, da galantuomo qual è, avverte l’esigenza di comunicare agli abbonati i suoi timori: per tempo: sarebbe scorretto abbandonarli all’improvviso, senza una spiegazione leale e fraterna…  Chiede aiuto e sostegno a quanti hanno a cuore le sorti della rivista…

Unisco la mia alla voce di Luzzagni. E sono sicuro che saranno in tanti a non rimanere insensibili all’appello. Chi conosce la sacralità, il ruolo, la funzione e il potenziale della scrittura sa che non basta lamentarsi della prepotenza e della spregiudicatezza di quanti offendono e inquinano la letteratura snaturandola o avvilendola e che, molto di più, conta, nel momento del bisogno, saper  fare, in modo concreto e generoso, la propria parte.  

 


 





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